Falso Movimento

un romanzo (a puntate) di G. Pipitone


    FALSO MOVIMENTO 



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    Lunedì, 4 dicembre 2017.

    L’ Rer filava spedito in direzione Boissy Saint-Léger, in un uggioso pomeriggio d’inizio dicembre. Da poco era passata l’ora di pranzo e nel vagone semivuoto i pochi passeggeri intirizziti sembravano assecondare pigramente le ardite traiettorie del treno, ciondolando oziosamente il capo ad ogni cambio di versante. Alla stazione di Vincennes il cielo era sfumato nel colore del piombo mentre un gruppo di canaglie aveva assaltato la carrozza inferiore. Ben presto avrebbero straripato anche al secondo livello. Li si poteva immaginare uno ad uno, senza averli visti. Giovani, giovanissimi, neri per lo più o anche orientali. Con i muscolosi bicipiti in bella vista e le loro tute acetate, lucide e aderenti. Il capo semi rasato con sfacciate ed intricate sfumature undercut, a tinte fluorescenti. Anche in pieno inverno non avrebbero rinunciato a mostrare uno spacco profondo della camicia, in fondo alla quale avrebbe brillato sempre un ciondolo etnico o, più raramente, una croce d’argento o dorata. Avrebbero parlato con quell’ accento incomprensibile delle più sperdute banlieue parigine e avrebbero sfidato per vizio, vezzo o solo per divertimento quei passeggeri che mostravano fastidio per la loro rumorosa presenza. Così fu anche stavolta.


    Cedric decise di isolarsi dal mondo e un in secondo era già sprofondato in un mondo liquido e adamantino, all’inseguimento di precise scale di basso sull’onda malsicura di ritmi franti e irregolari. A Champigny furono accese finalmente le luci del vagone, mentre sulla banchina della stazione cominciò a cadere una fitta pioggerellina, mista a nebbia. Il detective si strinse nel suo paltò color panna sentendosi in sintonia con il tempo. Era almeno una cosa. Sapeva che non c’era migliore modo per iniziare un nuovo caso che quello di instaurare un buon rapporto con gli agenti atmosferici. E la pioggia in genere lo faceva stare meglio, perché non lo distraeva. Anzi, lo avrebbe portato al giusto livello di concentrazione che il caso richiedeva.

    Alla stazione di La Varenne lo attendeva Monsieur Dutroux, un uomo che si era auto descritto come “alto, asciutto e distinto”. E dallo "sguardo sicuro e dall’andatura elegante", aveva completato Cedric, non appena gli ebbe dato un primo colpo d’occhio sbilenco. Se proprio gli si voleva trovare un difetto, ci si poteva attaccare a quella sorta di calvizie mal gestita, un beffardo tappeto nero che zollava solo per metà il suo globo occipitale. Cedric non aveva un benché minimo residuo di dubbio. Nei giovani soggetti parzialmente calvi, bisognava accettare la sconfitta fino in fondo e cedere alla più nuda delle purezze: la pelata. Dove l’accezione di “giovane”, assumeva per lui un significato così ampio e generoso da includervi finanche i cinquantenni in buono stato di conservazione.


    Dopo il veloce riconoscimento a distanza, arrivò una veloce stretta di mano. Schermati da un grosso ombrello i due uscirono dalla stazione e subito dopo scomparvero risucchiati all’interno di un Suv color nero. Dalla stretta vigorosa con la quale impugnava lo sterzo, Gerard Dutroux sembrava tradire tutto il suo nervosismo. E mentre prese a smazzare vie e viuzze a bordo della sua astronave, Cedric non poté fare a meno di notare in tralice il suo volto bianco, slavato, esangue, come se ci fosse qualcosa di insano che scorresse nelle sue vene. Questo tizio non amava la luce, pensò Cedric.

    La conversazione sembrava non decollare ed entrambi, piuttosto che profondersi in inutili convenevoli, restavano lì a studiarsi in cagnesco. Cedric comprese la difficoltà e decise di aspettarlo limitandosi ad accompagnarlo con uno sguardo che sarebbe rimasto per tutto il tragitto aperto e vigile ma allo stesso tempo inflessibile.

    - Forse lei mi giudicherà male.

    Principiò ad un certo punto l’architetto.

    - E perché mai?

    Sorrise impercettibilmente Cedric, schermendosi un po’ sorpreso. Nel farlo gli scappò un impercettibile occhiolino, come a voler proporre l'apertura di un tavolo di discussione confidenziale. Proposta che sembrò essere rigettata, visto che i nervi tesi della mandibola di Dutroux non accennavano a rilassarsi.

    - Non appena le dirò il motivo per cui l’ho contattata, mi tempesterà di domande. E alla fine non accetterà il caso...

    Cedric per un attimo ripensò alla telefonata di quella mattina. Certo, l’aveva un po’ turbato la reticenza di quell’uomo che con poche secche parole si era presentato come uno spettabile cittadino che avrebbe pagato profumatamente per i suoi servigi di detective. Nei toni e nell’inflessione della voce dell’architetto milionario aveva letto la spocchia e la sicumera di quella classe sociale abituata a comprare tutto col denaro. Finanche la verità o il silenzio.

    - Beh a questo punto sta a lei scoprire le carte. Almeno se ne ha ancora voglia... Rilanciò Cedric.

    Dutroux sorrise anche se amaramente, apprezzando la schiettezza del detective.

    - Sa nel corso della mia lunga carriera, mi è capitato che alcuni clienti dopo avermi conosciuto personalmente, mi abbiano da subito licenziato.

    - Prima ancora di assumerla?

    Dutroux aveva accompagnato attentamente le sue parole, cercando di cogliere eventuali rivoli di emotività sul volto del detective.

    - Eh sì! È una questione di fiducia a pelle… Lei non ha mai assunto un detective prima d’ora, o mi sbaglio?

    - Non si sbaglia. Ma ho assunto parecchie persone nel mio studio di architetto.

    Cedric sorrise cercando di carpire la benevolenza del suo ospite.

    - Non sarà lo stesso. Le dò un consiglio: faccia finta in questo caso che io sia il suo confessore, in caso abbia dimestichezza con la religione cattolica; oppure, meglio, immagini che io sia il suo migliore amico, o meglio, un fratello, quella persona a cui non ha mai nascosto le sue peggiori pulsioni e i suoi pensieri più oscuri.

    Nel dirlo non andò mai sopra le righe. E il suo volto spigoloso parve schiudersi ad uno sguardo verticale, in definitiva credibile. Dutroux gli lanciò a sua volta un’attenta occhiata di sfida, come per ricambiare al suo interlocutore un attestato di intelligenza.

    - Ho capito, lei vuole sostituirsi al mio avvocato.

    Cedric Bovin avrebbe compreso di non aver a che fare con uno stupido.

    Nel frattempo il Suv si era arrestato davanti ad un enorme cancello che si schiuse di lì a poco consegnandosi alla vista di un interno maestoso. Il veicolo spaziale sfrecciò triturando la ghiaia bagnata e producendo un tracasso potente, finché si arrestò nel bel mezzo di un parcheggio.

    - Uhhh non male!

    Annuì Cedric guardandosi attorno, arricciando le labbra come nel gesto di mimare un bacio prolungato, come spesso si sorprendeva a fare quando non voleva far trasparire alcuna emozione. E si slacciò la cintura di sicurezza

    - È il frutto del lavoro di una vita...

    Si affrettò a ribattere Dutroux che sembrava voler cogliere proprio quella sfumatura.

    - Ah! Per molti non basterebbero nemmeno dieci vite per realizzare tutto ciò.

    Il tono di Cedric aveva modellato e scolpito quelle parole in modo che sembrassero virare al complimento, più che ad una manifestazione d'invidia. Voleva capire se Dutroux appartenesse a quella categoria che amava essere adulata per quello che aveva. Giudizio sospeso sull’uomo, riflettè. Non aveva voglia di correre troppo e, prima di distribuire le inevitabili patenti, si voleva dare del tempo. Voleva intanto cercare e parlare con l’uomo prima che i suoi beni lo facessero per lui.

    Compito arduo. La villa che si aprì a poco a poco allo sguardo del detective era un complesso maestoso dallo stile ultra moderno. A Cedric non erano sfuggite alcune pregevoli tele che tappezzavano l’ampio boudoir dal quale ebbero accesso alla villa vera e propria.

    - La pittura sa... è una vecchia fissa di mia moglie. Anche lei in realtà, a suo modo, è un’artista.

    Dutroux evidentemente amava ogni volta bearsi dello stupore che si dipingeva sul volto dei suoi ospiti.

    - È qui a casa sua moglie?

    Chiese Cedric con un colpetto di tosse e, nonostante gli sforzi che si era promesso a tal proposito, faceva fatica a non giudicare quell’uomo dal suo stile di vita. Difficile associare un tenore di vita così sfacciatamente alto ad un tranquillo, felice ed esclusivo rapporto di coppia. Almeno che, pensava, la moglie non avesse qualche decennio in meno del marito, fosse una straniera, per esempio dell’est, o che, ancora meglio, fosse un matrimonio da poco contratto. Magari per interessi reciproci. E la conferma della sua tesi non tardò ad arrivare.

    - Io e la mia seconda moglie siamo arrivati al capolinea già qualche anno fa. Finché c’erano novità il nostro viaggio è stato intenso e colorato, a tratti anche interessante. Un po’ di felicità l’abbiamo conosciuta pure noi, comunque.

    E qui il suo sguardo sembrò rasserenarsi, come se volesse un po’ dissimulare quelli che dovevano essere i suoi pensieri più intimi sull’argomento. In realtà forse si stava pentendo di aver cominciato a raccontare di sua moglie in un tono così confidenziale. C’era come qualcosa, in quel detective che ispirava a confessare le riflessioni più profonde, i segreti più reconditi. E Dutroux provò per un istante un senso di amarezza per il modo in cui si stavano mettendo i rapporti di forza. Ma ormai la frittata era fatta e non poteva che seguitare il treno dei suoi pensieri, fino all’inevitabile chiosa.

    -Poi dopo dieci anni, tutto, anche il sentimento più forte perde vigore e quello che un giorno sembrava le fondamenta del suo enorme grattacielo, diventa una scossa tellurica, un terremoto che si porta via tutto.

    E qui i suoi occhietti piccoli e scuri tornarono a rannuvolarsi, mentre le rughe della fronte sembravano accavallarsi come le onde sotto le quali era naufragato il suo matrimonio.

    -E quegli ultimi mesi insieme ce li potevamo pure risparmiare… Hanno finito per cancellare quel poco di buono che c’era stato fra noi.

    L’accento amaro sull’ultima frase dava ad intendere senza ambiguità quanto lunga e corrosiva fosse stata la pratica della separazione in quella casa.

    - E la sua ex moglie vive altrove immagino?

    Gli venne in soccorso Cedric, schiarendosi la voce dopo che un lampo di emotività gliel’aveva quasi strozzata in gola. Per tutto il tempo del racconto di Dutroux, il detective aveva evitato di guardarlo negli occhi, anche se l’architetto in alcuni punti nodali, sembrava quasi pretendere a sé lo sguardo.

    - Un altrove abbastanza vicino, in realtà: la mia ex moglie vive semplicemente nell’altra ala della villa.

    - Ah capisco.

    - Dal momento che entrambi eravamo affezionati a questo posto, abbiamo deciso di tenercelo caro. Ma, intendiamoci! Ognuno per i fatti propri. Privacy prima di tutto. S’immagini che abbiamo due entrate separate, abbiamo diviso la proprietà di modo che muri interni ed esterni rendano il passaggio da una parte e dall’altra quasi impossibile.

    - Vedo. Come un muro di Berlino...

    Il detective si sorprese ad ascoltare la banalità che gli era scappata dalla bocca. E cercò di mitigare il rossore che quelle rasoiate di imbarazzo immancabilmente ogni tanto gli procuravano. Ci avrebbe dovuto lavorare sù, su queste vampate di emotività, ne era convinto.

    -Si figuri che a volte passano intere settimane prima di incontrarci in un interstizio del giardino.

    E con queste parole Dutroux, sembrò voler chiudere per il momento il capitolo ex moglie.


    Cedric Bovin si sentì sbalordito dal numero impressionante di stanze ed ambienti percorsi, finchè parvero giungere finalmente a destinazione. Un ampio salone, una sorta di Grand Place, a forma di conchiglia. Da lì si schiudeva un’ampia vetrata con la vista di un giardino con piscina e un parco magnificamente curato su cui sembrava fossero state adagiate delle sculture in pietra. Volendo, sarebbe stato anche difficile pensare che quella casa potesse essere stata stabilmente abitata da una donna. Cedric trovò che mancasse qua e là il tocco femminile, quel gusto che avrebbe di certo addolcito quelle linee così squadrate e quei colori così sfacciatamente algidi e impersonali. Frutto di una mente geometrica maschile, pensò. Nel porgergli da bere Monsieur Dutroux sembrò leggere nel pensiero del detective, dal momento che si sentì quasi in dovere di giustificare lo stile del suo arredamento. O forse doveva far parte di un cliché, che a questo punto della visita voleva che lui recitasse al suo ospite:

    -Sa detective Bovin, io sono un architetto ... Siamo tutti un po’ matti noi. Con l’idea dell’essenziale e del minimal in testa finiremo un giorno per tornare ad abitare nelle caverne, prima o poi.

    Cedric apparecchiò un bel sorriso di circostanza, ancora una volta poco indulgente nei confronti del suo ospite, mentre si ritrovò a tormentare nervosamente le sue lenti, come se ne stesse controllando la consistenza o appurasse che fossero davvero sue e di nessun altro. Erano cose che ogni tanto gli capitava di fare, senza sapere bene perché. Di certo, se avesse dovuto scegliere una sola parola per descrivere quell'ambiente, non si sarebbe mai sognato di definirlo "minimal". E per quella volta si limitò a mordersi la lingua.

    -Direi che siamo arrivati al punto, Monsieur Dutroux.

    E si fece serio.

     


    FALSO MOVIMENTO


    2

     

     

     

    Sul treno di ritorno per Parigi Cedric si sentiva di un umore insolito. Nonostante fossero passati da pochi minuti le 20, ebbe la netta sensazione di viaggiare sull’ultima corsa della notte. Con delusione constatò che una dopo l’altra le banchine delle stazioni delle borgate più popolari, Champigny e Saint-Maur, fossero vuote. Niente mascalzoni colorati, dunque. La carrozza sulla quale viaggiava a malapena poteva contare un paio di sfigati che solo apparentemente sembravano correre dritti fino al centro del mondo: la Ville Lumière.  Quel centro del mondo pieno di lustrini e paillettes che li avrebbe sempre scansati e respinti. Non importava se fossero giovani o meno giovani, bianchi neri o mulatti. Bastava notare la cuffia bombastica dell’uno o il mattone a forma di smartphone dell’altro, per intuire che quel centro aveva già fatto a meno di loro. E loro, che lo capivano distintamente, si sarebbero vendicati dissacrando quante più volte possibile quella festa permanente alla quale non sarebbero mai stati invitati.

     

    Da ex poliziotto, Cedric amava affrontare i suoi casi adottando il metodo da lui battezzato ironicamente della sottrazione all’osso. Era un metodo semplice, lineare, amava scherzare con la sua Annette. Un non metodo, si scherniva, fingendo di assumere un’aria intellettuale e forzatamente boriosa. E infatti non c’era niente di fantascientifico e nulla che richiedesse particolari doti di fiuto poliziesco.

    -"Vedi, cara ... durante la fase di acquisizione dei dati, si tratta di scomporre i fatti. Ciascuno se possibile isolato dall’altro. E verosimilmente distaccato dal contesto generale. Si arriva così ad ottenere tanti piccoli fatti. Ma a differenza di un puzzle dove bisogna mettere tutti i pezzi nel giusto posto per ricomporre la verità, qui bisogna fare il contrario... Il segreto è il seguente: bisogna da subito escludere dal mazzo i pezzi di puzzle irrilevanti, i binari morti, i fuori pista, gli eventi complementari e quelli solo casualmente verosimili ma in definitiva irrilevanti. Ma anche le più semplici ovvietà o le conclusioni più affrettate. Alla fine dei giochi, tolti tutti i pezzi insignificanti quello che rimane in piedi, per quanto bizzarro o singolare, compone un buon 90 % della soluzione di ciascun enigma. Tu ridi? ... Certo, più facile a dirsi che a farsi. Il metodo non è infallibile ... Ma se solo si consideri che l’infallibilità non è di questo mondo e che, solo i pazzi o gli adepti di qualche oscura setta segreta ne potrebbero postulare una, per quale motivo la mia stravagante teoria della sottrazione all’osso non dovrebbe avere diritto di cittadinanza?"

    Ed era a quel punto della storia che Annette, riavutasi dal temporaneo deliquio, si abbandonava sul divano scompisciandosi dalle risate.

     

    Prima che il treno giungesse alla Gare de Lyon, Cedric aveva 20 minuti. Lasso di tempo che, fra una distrazione e un’altra, si era dato per tentare di mettere ordine al racconto di Monsieur Dutroux. I primi fatti intanto si cominciavano a dipanare sulla sua tavolozza. Qualcuno era scomparso da un paio di giorni. E questo qualcuno era il figlio dell’architetto Dutroux. Eric, 18 anni, descritto dal padre come un tipo sveglio, estroverso, brillante, pieno di energia e vitalità. Un ragazzino in gamba, insomma, più maturo della sua età, critico nei confronti delle cerimonie della società e contro l’omologazione dei media e delle mode. Il papà lo descriveva come un ribelle, un punk, nei modi così come anche nel modo di vestire e di apparire.

     

    Quel sabato pomeriggio Eric si era spostato da Parigi verso Dijon, in compagnia di un paio di amici, Jean e Bruno. 10,30 l’orario della partenza del treno dalla stazione Gare de Lyon. Ragionevolmente il TGV li aveva sbarcati in meno di due ore nella capitale borgognone. Scopo del viaggio: un rave-party, verosimilmente Cedric non faceva fatica ad immaginare, a base di sesso droga e rock and roll. Secondo Jean e Bruno sembrava che il trio avesse ritrovato sul posto un gruppo di amici provenienti anch'essi da Parigi a cui se ne erano aggiunti altri da Marsiglia. E che insieme fossero stati accolti da un gruppo di giovani del posto. Senonché durante quella notte del rave, Eric aveva fatto perdere le sue tracce. L’ultima volta che i suoi amici l’avevano avvistato Eric si trovava in compagnia di una ragazza giunonica dagli orecchini appariscenti, una certa Yvonne, visibilmente su di giri. Solo l'indomani, a giorno fatto, i due amici si accorgevano della scomparsa dell'amico. Yvonne, a cui i due avevano chiesto lumi, sembrava sfilarsi dicendo di averlo lasciato ai piedi del palco verso le tre del mattino. E questa era l’ultima occasione in cui Eric veniva avvistato. Da lì in poi, il nulla. In tutto ciò, il giorno dopo, domenica, superata l’ora di pranzo, preoccupati di non avere ancora notizie su di lui, Jean e Bruno si mettevano in contatto con la madre, allertandola per la scomparsa del figlio.

     

    Dutroux apprendeva della notizia nel corso di un’inaugurazione che lo vedeva protagonista, appena fuori Parigi, quella domenica mattina. Rientrato rocambolescamente in città, visto il protrarsi dell’incertezza, aveva poi deciso insieme alla ex moglie di rivolgersi ad un detective privato. Il più bravo e famoso che ci fosse sulla piazza. Ed era così arrivata la telefonata di quel lunedì mattina.

     

    Cedric aveva accumulato una buona mole di fatti che adesso avrebbero dovuto essere supportati dai dettagli. Non di prove ma di dettagli c’era bisogno, a questo punto iniziale, si diceva. E se si escludeva il movente di quella scomparsa, ignoto a questo punto iniziale dell’inchiesta, si sarebbe potuto pensare ad un ragazzo normale che fa cose ritenute in linea con la sua età: uscire senza rincasare un sabato sera, evitando di fornire particolari ragguagli ai genitori, per partecipare ad una festa-evento, anche essa tutto sommato normale, finendo infine devastato dalla droga fino a perdere la conoscenza. E magari risvegliarsi nel letto di chissà chi, dopo aver dormito per più di 24 ore... si ritrovò più volte ad augurarsi Cedric. Senonché, e questo non deponeva certo per il meglio, erano già quasi trascorsi due giorni senza ricevere ancora sue notizie.

     

    - E come mai non si è rivolto alla polizia? 

    Questa la domanda spontanea che aveva rivolto a bruciapelo a Dutroux. Nella quasi totalità di questi casi, si trattava di bravate di giovani che si rifacevano vivi dopo un paio di giorni: dopo essersi ripresi dalla sbornia di un cocktail a base di alcol e droghe sintetiche... Ma la risposta a quella domanda sembrava non averlo del tutto soddisfatto. Non era tanto la motivazione che ne dava l’architetto Dutroux, quanto una sorta di imbarazzo o reticenza nel suo comportamento. Quel tipo di risposte che non bisogna essere fini psicologi per capire che nascondono più di quanto vorrebbero.

    - Mio figlio l'anno scorso è stato già pizzicato dalla polizia per possesso e spaccio di marijuana. Insieme a qualche settimana di carcere minorile, sta già affrontando un programma di recupero. Non ci possiamo permettere di mettergli la polizia alle calcagna: lo arresterebbero per recidiva se solo gli trovassero un solo grammo di erba addosso. Anche perché nel frattempo è diventato pure maggiorenne da qualche settimana e ... quando hai 18 anni, lo sa meglio di me ... cessano i programmi educativi ... e cominciano le mazzate.

     

    Cedric sbucò dalla Gare de Lyon proprio mentre uno scroscio di pioggia poderoso sembrò mettere una certa distanza fra sé e la città. Dall’intensità eclatante della burrasca si percepiva che non sarebbe potuta durare a lungo. E così fu. Di quei temporali figli di nuvole grasse, sapeva ormai tutto. Avrebbe un giorno prima o poi affidato alle sue memorie certe sue intuizioni in materia di meteorologia. In capo a una ventina di minuti rientrò mestamente a casa, al civico 36 di Rue des Rosiers, nel quartiere Marais, dopo essersi lasciato alle spalle la vecchia piazza Bastille. Con le sue migliaia di fantasmi che infestavano la città da secoli ormai.

     

    Prima di andare a letto controllò la segreteria telefonica. Prerogativa dell’uomo del terzo millennio era quella di essere reperibile in qualsiasi momento e in ogni luogo della terra si trovasse. Cedric invece aveva da sempre rifiutato questa logica e solo in passato, di malavoglia, aveva tenuto in vita un cellulare per “obblighi professionali”. Un cellulare che non avrebbe potuto tenere spento per ovvi motivi. Ma dal momento in cui sì era licenziato dalla polizia, non gli sembrò vero di poter ritornare ai cari vecchi tempi andati.

    “Sei rimasto tu e qualche boscimano dell’Africa profonda a fare a meno del cellulare. Siete accerchiati ormai. Arrendetevi” gli diceva spesso Annette. Ed aveva ragione. “Sei refrattario all’idea di progresso”. Lo provocava lei mentre accarezzava la sua pelle setosa. Non era vero. O meglio, era solo una verità parziale. Lui era per un progresso principalmente sociale. Non ci poteva essere progresso tecnologico se non come risultato di una vittoria globale. Su questo argomento e con tale motivazione ammetteva di essere attaccabile e molto velleitario. “Sei solo un bell’esempio di radical chic” lo accusava Annette. “Venuto maluccio” le faceva eco lui sorridendo. Ebbene, il privarsi di un cellulare gli consegnava la sera, di rientro a casa, uno dei piaceri più rilassanti: quello dell’ascolto della segreteria telefonica. “Sei in ogni mio pensiero…e lo sciabordio delle onde dell’Oceano mi sta diventando insopportabile senza di te” cominciava il breve messaggio di Annette.

     

    Da lì dove si trovava Annette non poteva certo aiutarlo molto, impegnata com’era a svernare in una non ben precisata località della Bretagna. L’unica cosa che Cedric sapeva di quel luogo era che aveva l’oceano su due lati e che avvicinandosi alla cornetta con il minimo sforzo riusciva a sentire la brezza fresca sferzargli le gote, l’odore del salmastro misto allo iodio assediargli le narici mentre sullo sfondo uno stormo di gabbiani gracidavano liberi contro il vento impetuoso.

     

    Non che a Parigi gli capitasse di vederla spesso. Anche quando era in città Annette seguiva il suo protocollo abbastanza rigido, allietato da segretissime scappatelle, durante le quali scompariva risucchiata come da profondi buchi neri. Sempre più rari purtroppo. Fare l’addetto stampa del marito non era un compito facile per lei. Sia perché il marito era un tipo molto pignolo e scrupoloso, meticoloso ai limiti del fastidio; sia perché a questa proprietà ne aggiungeva un’altra: un’innata presunzione, leggasi sdegnosa arroganza, che emanava da ogni suo poro e che bisognava moderare ad ogni uscita pubblica. Caratteristiche che non avevano comunque impedito all’uomo pubblico di ricevere l’incarico prestigiosissimo di Ministro della Repubblica. Mandato che era arrivato da pochi mesi, quando il Primo Ministro della Repubblica, costretto a cedere su in impasto di governo, aveva tirato fuori dal cilindro il suo nome per tenere buona una certa consorteria scontenta dell’andazzo delle cose. Una sorpresa per tutti, poiché nonostante ricoprisse alti incarichi all’interno della segreteria di Presidenza, nessuno avrebbe mai potuto immaginare una nomina così in alto. Nemmeno la moglie.

     

    E nonostante non fosse un ministero propriamente centrale nelle riunioni del mercoledì mattina a palazzo dell’Eliseo, il prestigio di appartenere al ristretto circolo dei più potenti aveva aperto un mondo impensabile alla consumata coppia. E fra i nuovi vezzi ministeriali erano contemplati i fine settimana di lavoro spesi con i colleghi di governo, impegnati nella redazione di qualche testo congiunto, in qualche esotica e desolata località della costa francese. Ed era allora che i weekend per Cedric sembravano davvero non finire mai.

    Da quel giorno in cui, era un luglio afoso e appiccicoso, Annette era diventata una delle donne più importanti di Francia, questa insolita situazione si era mutata per Cedric in motivo di ilarità ma soprattutto di amara frustrazione. La bella madame era stata tirata sempre più dentro gli incarichi del marito, e in quelle poche e fugaci fughe d’amore a Cedric era pure sembrato che Annette avesse mutuato quel piglio serioso e tenebroso del marito, un tipo che si prendeva molto sul serio. Senza pensare che la loro situazione era oggettivamente a rischio dal momento che il marito si dimostrava ancora pazzamente innamorato della moglie come se fosse il primo giorno. O per lo meno che ne facesse finta. Che nei fatti poi era la stessa cosa.

     

    Per completare il quadro, sfortunatamente per tutti i coinvolti, l’uomo ministro poteva vantare un pedigree di primo piano in fatto di gelosia: proverbiali le scenate nel corso di alcune serate di gala, durante le quali Annette era stata costretta a cambiarsi d’abito solo perché lo sguardo impertinente e curioso di qualche ospite si era intrufolato dentro il balconcino del push-up, e apparentemente non era uscito più. Ora in questa situazione di costante pericolo la storia clandestina di Annette e Cedric aveva stentato molto, specialmente negli ultimi sei mesi a tenere testa ai loro reciproci sentimenti.

     

    Che non fosse una semplice botta e via, d'altra parte, lo sia era capito fin dal primo incontro, quando Cedric un anno prima, alle prese con uno dei suoi casi, aveva richiesto di vedere il marito per un chiarimento. E il gabinetto del marito in concomitanza con l’assenza del titolare, fu loro fatale.

     

    “Sei in ogni mio pensiero…e lo sciabordio delle onde dell’oceano sta diventando insopportabile senza di te”. Riascolto un'ultima volta il messaggio e poi, esausto, si addormentò cullato dalle onde dell’oceano.