La crociata dell'Aquila contro il Dragone
Come ampiamente previsto, Jo Biden entra a gamba tesa su Xi Jinping e la Cina durante il summit della Nato, tenuto lunedì scorso nel quartier generale di Bruxelles. La novità è sulla terminologia. Per la prima volta la Cina viene identificata oltre che come una “minaccia strutturale”, “un avversario” dichiarato e conclamato della vecchia Nato, prendendo in questo lo storico posto occupato finora dalla Russia.
Il neo presidente Usa sembra davvero non risparmiarsi in questa nuova offensiva anticinese, portando a compimento ciò che aveva iniziato domenica in Cornovaglia, nel corso del summit del G 7. Di slancio arrivano così parole pesanti che nessuno degli altri “grandi” del Summit si permette di contestare. Né la Merkel, che di fatto può ritenersi soddisfatta per aver ricevuto un pacchetto di sostanziosi contentini, né Macron, costretto a ricredersi da quando, appena due anni fa, aveva preconizzato (sbagliando) la morte cerebrale della Nato. Né la Gran Bretagna, troppo occupata a guardarsi dentro, in questo complicatissimo post Brexit, alle prese con il rischio di perdere per strada i pezzi di quello che resta del vecchio Regno Unito. Fra la rogna del confine fra comunità eureopea e l'Irlanda del Nord e con l’eco delle appena trascorse elezioni in Scozia che solo per un soffio hanno evitato di consegnare il paese in mano ai nazionalisti scozzesi. La stessa Italia che, nella Nato ha sicuramente meno voce in capitolo di quanto non ne abbia nel G 7, sembra dover fare i conti con qualche peccatuccio sulla coscienza, che non le permette di affrontare con serenità il "dossier Cina". E poi c’è la Turchia, troppo impegnata a sbracciarsi, farsi spazio e a proiettarsi nel Mediterraneo profondo, per solo pensare di mettersi di traverso rispetto al volere di Washington.
Insomma allineandoli davanti al muro, l'America chiede agli alleati di schierarsi. Senza peraltro prevedere dinieghi o contemplare piani alternativi al proprio. Il punto è che questo viaggio di Biden in Europa rischia di trasformarsi da crociata alla riconquista dell’”Europa perduta”, in qualcosa di ancora più forte e sostanziale. Una spedizione punitiva per tutti quegli scettici che avevano scambiato l'inerzia di Trump come il definitivo disinteresse dell’aquila americana nel coltivare l'alleanza con la vecchia Europa.
Biden non solo ha le idee chiare sull’ "amicizia" (ovviamente interessata) che lega il vecchio mondo con il nuovo. Ma è venuto a riprendersi quello che sembrava via via essersi perduto per strada. Da un lato è una buona notizia. Per gli atlantisti: significa che si può contare su un socio di maggioranza in forma e con le idee chiare. Dall'altra la notizia potrebbe instillare frustrazione, almeno per chi ha coltivato uno spazio di manovra alternativo (Macron principalmente), dal momento che questa nuova rigenerata vitalità degli USA riporta le lancette indietro (o avanti…) a prima di Trump. L' America dunque è tornata per rimanere. Che piaccia o meno. E tutti dovranno fare i conti con questa nuova situazione.
Ieri in serata è infine arrivato il comunicato di Pechino che, seccato dall'atteggiamento di Washington che sta facendo terra bruciata, avvelenando i pozzi che i cinesi stavano pazientemente tirando su, fa sapere attraverso una nota che non apprezza la logica e la propaganda da Guerra Fredda con cui Washington sembra ostinatamente tirarla in ballo. Difesa che non fa una grinza e che mette la Cina nella posizione della vittima: mai ruolo le fu più congeniale.
A questo punto, rimane una sola incognita da sbrogliare per Washington: Mosca, unica vera grande potenza militare che sfugge al suo controllo. Russia che Biden cercherà di ammansire oggi, nel corso dell'atteso vertice con Putin a Ginevra. Nessuno si aspetta una Russia remissiva. Ma nemmeno troppo aggressiva. Putin sa bene che in questo particolare momento storico di dualismo fra Usa e Cina, con un'Europa bloccata e frastornata da un lato da posizioni atlantiste e dall’altro dalle sirene cinesi, Mosca ha solo da guadagnarci. L' Orso sa che, con lo status quo, in questo momento di stallo, potrà sempre rappresentare l'ago della bilancia. Ragion per cui, non rinuncerà a guardarsi il film adagiato comodamente dal suo ampio divano di casa, con un traboccante secchio di pop corn fra le mani. Da lì studierà tutte le mosse del Cowboy americano che cerca invano di agguantare all’ ok corral lo sfuggente Dragone cinese. La forza di Putin di certo non si basa sugli assetti economico finanziari della Russia, quanto di certo su quelli militari e sulle materie prime. Nel primo caso Mosca fa ancora paura, nel secondo conta ancora davvero tanto. E sia Washington che Pechino lo sanno.
16 giugno 2021